Chi era Enzo? Era un ragazzo di 14 anni che, nell’autunno del 73, varcò dietro di me la porta della 1^ sez. Q; voltandomi lo vidi per la prima volta e subito notai il suo aspetto un po’ grassoccio e la riga sui capelli che da lì a poco non avrebbe più portato per tutta la vita. Ci saremo detti: “Piacere, Salvo”. “Piacere, Enzo”. Da quel momento per i successivi 10 anni siamo stati pressoché inseparabili, sulla nostra vespetta 50 color grigio abbiamo percorso gli anni della nostra adolescenza, crescendo l’uno dell’esperienza dell’altro fino alla maturità, poi i diversi indirizzi professionali ci separarono, ma bastava poco per ritrovarsi: delle volte una serata tra amici, altre una gita fuori porta. A Lui bastava ritrovarmi per ritrovare la sua spensieratezza; in quei momenti, sfortunatamente sempre più rari, si ricordava ( e mi faceva ricordare) di tale compagno o compagna piuttosto che di questo o di quell’altro fatto che io avevo già rimosso dalla mia mente, ma che invece per lui rappresentava ancora un piacevole angolo di gioventù da rivivere con profonda voluttà. Lungo le strade delle nostre esistenze siamo stati compagni di tanti momenti felici, ma anche di dolorosissime esperienze che reciprocamente ci hanno toccato profondamente. Senza volerlo e senza saperlo ci siamo fatti l’uno spalla dell’altro, spesso anche non vedendoci per mesi ci seguivamo a distanza, legati da un affetto così grande che bastava un semplice incontro per colmare, anche con poche parole, il periodo di black-out che pur ci aveva separato. Noi lo sappiamo, Enzo: il nostro legame era e sarà sempre forte.
Ma chi eri veramente non è chiaro solo a me. Tu già col tuo corpo parlavi una dialettica semplice, essenziale, che toccava il cuore di chi ti stava accanto; non riuscivi a non compenetrarti nei problemi altrui, non ti sei mai negato a nessuno. Sei stato uomo mite, sereno, generoso e non ce ne accorgiamo soltanto adesso.
L’ultima volta che ti ho rivisto eri già notevolmente dimagrito ma la confidenzialità che c’era tra di noi imponeva la mia battuta circa il tuo nuovo giro vita. Con un sorriso leggero, appoggiandoti una mano sull’addome, mimasti un volto compiaciuto. Ma fu solo un attimo, poiché avvicinandoti mi confessasti il tuo sconforto per la malattia che ti stava consumando. Ci lasciammo poco dopo e per l’ultima volta ti vidi allontanare. Solo oggi capisco lo sguardo di quel giorno: nei tuoi occhi c’era la rassegnazione del naufrago che, pur lottando conosce il suo destino. Perché non ho saputo trattenerti un attimo in più in quel nostro ultimo abbraccio! Quella fu l’ultima volta che ti vidi e così ti ricorderò per sempre. Io non ho avuto la possibilità di vedere le tue spoglie, ma di questo non mi dolgo. Mi rammarico invece di non aver potuto confortare gli ultimi istanti della tua vita, trascorsi da solo in mani estranee, avrei voluto (ma non solo io) alleviare le tue ultime sofferenze, darti coraggio se ti serviva, sentire sulle mie guance i tuoi ultimi respiri: per te “Principe dell’Amicizia” quali braccia più giuste per chiudere gli occhi se non le mie.
Vincenzo lasciati ancora dire un’ultima cosa: Tu sai che andandotene ti sei portato dietro una parte di me, ma qualcosa di tuo vivrà con me per tutta la vita.
Tuo Salvo.